STAGIONI DI VITA (Download)
CAPITOLO PRIMO, INVERNO
Neve. Che improbabile scherzo del destino. Per tanti anni, quando ero piccola, ho atteso di veder piovere quei microscopici fiocchi. Per anni ho pensato a come deve essere correre a perdifiato fra quei morbidi batuffoli, raccogliendoli fra le mani gelate e tremanti, portandoli alla bocca con curiosita, per poi sputarli, perché troppo freddi da ingoiare.
Ed ora mi ritrovo qui, oramai donna fatta, a guardare quella candida cappa che avvolge il mondo con occhi spenti, con triste amarezza, distante dalla gioia che nel resto delle persone quest’evento provoca.
E, mentre rifletto sul mio passato, guardo fuori dalla piccola finestrella,
guardo i bimbi che corrono, guardo il mondo che continua a girare, senza
fermarsi, senza aspettarmi.
Sono fuori dal mondo, oramai, sono sola, fragile, triste e caduta in un
vortice, senza ritorno.
Tenere questo diario mi aiuta a non commiserarmi, a non passare il mio tempo piangendomi addosso. Il mio dottore dice che devo uscire dal mio trauma parlandone a qualcuno.
Non ho nessuno a cui parlare, e quindi ho deciso di scrivere.
Non saro costante. Forse non scrivero molto. Sono abituata a tenere tutto dentro. Ma a volte tenendo tutto dentro, si scoppia, e la tristezza si tramuta in rabbia. In rabbia verso il mondo, e verso se stessi.
E’ triste sedere in questa angusta stanza, ricoperta dall’insopportabile peso della mia stessa colpa e dal fumo della mia stessa sigaretta.
Pochi sono i ricordi che mi sono rimasti del mio passato. Quel terribile
incidente non mi ha lasciato altro che il mio corpo, svuotato da gran parte
dei suoi ricordi. Menomato. Non posso piu camminare, non posso piu correre
tra i fiocchi di neve.
La donna che mi hanno affiancato per svolgere i lavori di casa mi guarda
con pena, profonda, ai miei occhi quasi ripugnante. Amelia Medici, si chiama.
Sembra proprio un medico con quel camice bianco e lindo e quei capelli stinti,
che coprono i suoi occhi azzurro chiaro.
Devo vivere in sedia a rotelle, si, non sono stata fortunata. Un colpo di mortaio mi ha rovinato la gamba.
E pensare che non combattevo neppure in quella stupida guerra. Ero li solo per documentare i fatti, ero li per scrivere la storia di quei poveri omini gialli che lottavano contro i potenti americani. Ero in Vietnam, e questa fu la mia sfortuna.
Presto sara Natale, ma non ho il desiderio di addobbare la casa, l’albero, il giardino. Non ho piu desideri. L’unica cosa che riesco a fare facilmente e crogiolarmi nella mia stessa tragedia.
- Signorina… Vuole uscire? Vuole prendere una boccata d’aria?- chiede, remissiva, la domestica.
Annuisco. Anche se e come rivoltare il coltello nella piaga, voglio vedere la neve da vicino.
Bea, il mio morbido ed amato cagnone, si affianca alla mia sedia a rotelle. Mi segue dovunque, e il mio unico vero parente.
In pochi minuti sono in giardino, accerchiata dagli alti pini, imbiancati. Bea scava nel il farinoso nevischio che ricopre il terreno, con aria solenne e festosa. Io raccolgo una piccola manciata di neve e la porto alla bocca. Deglutisco. Non e fredda come pensavo!
Una lacrima scorre sul mio viso, subito spazzata via dal mio indice affusolato.
La tristezza invade il mio animo, ma non la lascio trasparire. No. Sono viva, questo e l’importante.
Vedere il grosso meticcio saltare e correre fra i fiocchi, mi vedo fare la medesima cosa.
La gioia inizia a far breccia nel mio cuore, quasi come un ago gelato, che penetra nella mia carne.
Sono mesi, oramai, che non provo questo sentimento. Anche se attutita, quasi dolorosa, finalmente questa magnifica emozione riesce ad entrare nella mia esistenza.
Sono felice? Forse.
CAPITOLO SECONDO, PRIMAVERA
E’ gia passato qualche mese dalla prima ed ultima volta che ho scritto su questo diario.
Non voglio sentirmi colpevole per aver spezzato il rito della quotidiana
trascrizione degli eventi salienti della giornata.
Cosa dovrei raccontare? Dovrei narrare ogni giorno il tedio che mi attanaglia
le viscere? No, sarebbe troppo noioso da scrivere, troppo doloroso da rileggere.
E allora perché sto muovendo la penna su questa sottile pagina color ocra?
Perché e da poco iniziata la primavera, e perché oggi e il mio trentesimo
compleanno. “Quando avro trenta anni saro sposata, con sette figlie, che
chiamero Iris, Margherita, Rosa, Violetta, Lilia, Primula e Delia” dicevo,
quando a sette anni pianificavo il mio futuro. Invece, se fossi stata una
chiromante avrei predetto “Quando avro trenta anni saro single, con gli
arti paralizzati e una dolcissima cagna enorme e pelosa”.
Di certo non e il futuro che mia madre voleva per me... Diceva che dovevo mettere su famiglia, trovare un uomo ricco e bello... E invece passero da sola anche questo compleanno...
La mia camera e carica dell’intenso profumo dei fiori, le ampie finestre sono spalancate, in modo da colmare la stanza della frizzante e sublime aria primaverile.
Sono stesa sul letto. Le gambe mi fanno molto male, il dottore ha detto che e un buon segno e che e possibile che entro l’anno io possa nuovamente camminare.
L’allegro scodinzolare di Bea mi fa sperare che le parole del medico siano vere. Quanto vorrei correre con la mia dolce cagnolina lungo i prati che vedo stendersi a vista d’occhio attorno a me...
Sono distesa su soffice erba verde smeraldo, una brezza caramellata fruscia fra i miei capelli. Il sole splende, illuminando il mio viso. Deve aver piovuto... Goccioline d’acqua pura si aggrappano agli steli dei fiori, in cielo e sbocciato un arcobaleno etereo.
Bea insegue l’ombra di una nuvola, con la baldanzosa scompostezza di una bimba.
Io sorrido e mi lascio rotolare nell’erba, per poi alzarmi e gettarmi sulla mia morbida cucciola, lottando giocosamente...
Mi sveglio. Un bellissimo sogno, non c’e che dire... Ma mi fa ricadere nello sconforto...
Nonostante tutto, devo riconoscerlo: dopo quella magnifica nevicata di qualche mese fa, la mia vita sta migliorando. Finalmente nelle tenebre in cui ero sprofondata inizio ad intuire un lieve sentore di salvezza... Forse tornero a camminare, molto presto potro di nuovo correre! Il dottore ha detto che iniziero a breve alcuni corsi di riabilitazione e che, verso Agosto, potrei gia alzarmi sulle mie stesse gambe! So che la strada e difficile, ma so anche che posso riuscire a scavalcare anche quest’ostacolo. E’ strano come la speranza riesca a illuminare e dipingere il mondo con tonalita piu dolci ed eleganti! Amelia non sembra piu cosi antipatica, cosi tesa nel parlarmi, cosi commiserante quando mi guarda. Forse sto subendo una metamorfosi, e con me tutto cio che mi circonda!
Sto demolendo, un mattone per volta, il muro di silenzio che mi avvolge da tanto tempo.
Poco fa ha avuto inizio un acquazzone. Io amo la pioggia... E’ cosi viva, cosi vera. Un segno tangibile della forza della natura. Ho chiamato Amelia per farmi portare fuori. Mi sento cosi debole e piccola, su questa sedia... Ma, quando la pioggia ha cominciato a battere con foga sul mio viso, dai miei occhi sono spuntate lacrime di gioia. L’intero e fiorito giardino che m’avvolge nella sua cappa densa di profumi discordanti tende le sue fiorite membra verso il cielo, tentando d’appropriarsi di ogni minima goccia d’acqua. E io con lui, protesa verso il cielo, protesa verso la illusione di una migliore esistenza...
CAPITOLO TERZO, ESTATE
Gli ultimi mesi sono stati intensissimi... La fisioterapia e molto pesante... Odio alzarmi cosi presto al mattino... Odio entrare in quel lugubre ospedale, scortata da Amelia, soffocando dal caldo. Odio essere esortata a muovere le gambe, nonostante esse si rifiutino di scostarsi d’un centimetro dalla loro cementificata posizione. E’ oramai pieno agosto, i miei arti non sono abbastanza forti da reggermi in piedi. Forse non lo saranno mai...
Ieri, Amelia mi ha svegliato alle cinque del mattino, Bea si e sentita male. Era accucciata in un angolo, intenta a guaire con penosa convinzione.
Dopo circa un’ora, con un profondo gemito ha partorito un magnifico cucciolo, morbido e dolce. Quando ho incontrato lo sguardo della oramai adulta cagnetta, ho visto in lei una luce nuova, un senso del dovere che sviava totalmente da quella che era la sua ansia da cucciolo. E’ un’adulta. E’ una madre. Proprio come io ancora non sono. “E’ piu matura e saggia di me”. Questo e stato il mio primo pensiero.
Nonostante il lieto evento, alle otto sono dovuta andare all’ospedale, per la quotidiana agonia.
Giunta nella sala d’aspetto mi sono soffermata ad osservare tutti i presenti: chi con un braccio rotto, chi con le stampelle, tutti mi guardavano di sottecchi, con compassione. Non era cosi facile simulare l’orrore che provavano vedendo una sedia a rotelle.
Un ammaliante dottore, dai capelli scuri e gli occhi color trifoglio, ha fatto capolino dalla sala adiacente. – Signorina... e il suo turno... entri...- ha sussurrato, guardandomi negli occhi con dolcezza e senza un minimo di compatimento.
Data una gomitata ad Amelia, che era rimasta a bocca aperta all’apparizione
di quel giovane, mi sono fatta portare oltre quella porta candida.
- Io sono Riccardo, sostituisco il dottor Carlo...- ha detto, per poi iniziare
a osservare le mie gambe.
Dopo un’ora d’inutili tentativi sono scoppiata a piangere, dicendo che avrei preferito morire piuttosto che rimanere paralizzata per l’eternita.
- Siamo come gocce di rugiada su una foglia, basta un alito di vento ed e come se non fossimo mai esistiti...- ha sussurrato, quasi dialogando da solo.
M’ha guardato con dolcezza. Io ho risposto con lo stesso sguardo. Amelia, dal fondo della stanza m’ha fatto l’occhiolino. La mia gamba ha avuto un fremito, s’e mossa. Per la prima volta.
Riccardo ha sorriso, sul viso una leggiadria squisita.
Alla fine della seduta, ero riuscita a muovere lievemente le gambe in avanti. Entro un anno forse avrei recuperato la mia indipendenza, secondo Riccardo. Un anno. Un’eternita.
Quando Amelia e andata a prende un caffé, il mio seducente medico m’ha chiesto in un soffio, quasi per caso: -Cosa fai stasera?-. Ho risposto con ilarita e civetteria:- Non sapevo che i medici potessero avere rapporti interpersonali con i pazienti...-.
Dopo un po’ di renitenza, ho acconsentito ad uscire con lui. Mi ha invitata ad una serata sulla spiaggia... Non esco con un uomo da anni... Non ricordavo piu l’eccitazione di un appuntamento... L’attenzione messa nel prepararsi, la dolcezza dei pensieri che invadono la mente...
L’aria estiva che entra con garbo nella mia stanza, insinuandosi fra le
lenzuola e fra le mie morbide vesti, mi fa sentire viva... Era molto tempo
che non provavo queste emozioni...
Ora devo andare... Lui e qui... E mi sta per portare nel regno dei sogni?
Sono tornata... E’ stato sublimemente... orribile!
Giunti sulla spiaggia, illuminata dal tramonto, ma preso tra le sue braccia forti e muscolose e m’ha adagiato con dolcezza sulla sabbia soffice. Il sole rosso sull’acqua m’ha donato una dolce sensazione di protezione, il calore della sabbia su cui ero stesa ha iniziato a cullarmi, come una dolce ninnananna estiva. L’attimo era romantico, volevo baciare Riccardo. Lui s’e sdraiato accanto a me, complice del mio stesso pensiero. M’ha baciato. Il mio cuore ha cominciato a battere con foga, la mia gamba ha pulsato con doppia forza, poi s’e contratta. Mi sono staccata dal suo dolce bacio con un irsuto urlo di dolore. La mia odiosa gamba doleva con perfidia. Il mio corpo e contrario alla mia felicita. Come puo essere possibile? Forse sono veramente innamorata di Riccardo... Il mondo mi sta nuovamente crollando addosso? Non mi comprendo piu...
CAPITOLO QUARTO, AUTUNNO
-Non potra piu camminare. Abbiamo trovato il motivo del suo dolore alla gamba. Era un escrescenza dell’osso che ostacolava il passaggio del sangue in un’arteria capillare. Le chiediamo umilmente scusa per l’errore...- queste sono state le parole del Dottor Carlo. Sul viso aveva una sincera espressione di compatimento. Non avrei camminato. Mai piu. Ora ne sono certa.
Ho guardato fuori dalla finestra, un sorriso. Fuori il tragico vento d’autunno tormentava le lievi foglie secche, che andavano via via staccandosi dai rami e scivolando a terra. La loro ultima corsa, prima della morte.Era esattamente la sensazione che provavo io, nel mio cuore. Ad un tratto mi sento osservata: dietro di me e sopraggiunto Riccardo. Lui non m’ha abbandonata dopo quella sera estiva. Siamo usciti di nuovo, piu e piu volte. Io lo amo, lui mi ama. Ed ora e qui, qui con me... Ad aspettare il verdetto. -Mi dispiace veramente, e stato tutto un errore... Lei non puo piu camminare...- sono le ultime parole del dottore. Poi il nulla. Chiudo gli occhi, una lacrima scorre beffarda sul mio viso, la scosto con l’indice.
Riccardo mi accarezza i capelli, Amelia s’avvicina per farmi uscire dalla stanza. Io alzo il collo e sorrido con eleganza, voglio far capire a tutti la mia forza.
Sono passati alcuni giorni da quel fatidico momento in ospedale. Ora sono qui, con in grembo il piccolo cucciolo, Whisky, ormai dotato dei suoi tre mesi, a scrivere le ultime pagine di questo diario...
Ieri Riccardo mi ha invitata ad un picnic nel boschetto presso casa mia. Ha detto che mi doveva presentare una persona. Ho accettato.
Amelia mi ha portata al boschetto e, complice di questa mia romantica avventura,
s’e accoccolata sotto i rami d’un irsuto albero spoglio, osservando la situazione.
Le fruscianti foglie autunnali vagavano con poca convinzione per la radura,
rendendo il luogo fatato e caratteristico. Attorno a me sentivo l’odore
del muschio marcio, forte e pungente, ma piacevole.
Pochi minuti dopo e arrivato Riccardo, scortato da una bambina di cinque,
forse sei anni.
-Vera, ecco... Devo... Presentarti questa... Bambina... E’... Mia figlia...
Cioe...- ha sussurrato, impacciato. Ho sorriso,- So bene chi e... L’ho incontrata
qualche giorno fa in sala d’aspetto...-
Oltre ad aver parlato con la bambina, venendo a sapere che era figlia di
Riccardo, avevo chiesto informazioni anche ad Amelia, che sapeva tutto di
tutti, e avevo scoperto che la fidanzata di Riccardo era morta partorendo
la piccola Apple e che Riccardo si era preso la responsabilita di allevare
quell’amabile fringuello.
Dallo sguardo dolce che ho donato alla piccola, Riccardo ha compreso che
quella bimba non sarebbe stata un ostacolo alla nostra relazione. A quel
punto, il mio amato ragazzo, m’ha preso una mano e ha tratto di tasca uno
scintillante anello d’oro, con incastonato un grosso diamante puro e trasparente.
- Vuoi diventare mia moglie?- mi ha chiesto, con una melodiosa impronta
nella voce. Dalla mia gola s’e levato un urlo di gioia, arrochito dalla
pronuncia d’una sillaba: si.
Riccardo s’e chinato su di me, donandomi un bacio zuccherino. La piccola
Apple s’e incuneata fra di noi, seguito a ruota da Bea e Whisky, che abbaiavano
giocosi ed esuberanti. Amelia ha sorriso, e s’e avvicinata anche lei, complice,
amica, sorella.
Apple s’e stretta a me, per rivolgermi una domanda che le bruciava nel
petto: -Posso chiamarti mamma?- mi ha chiesto, con la dolcezza che solo
un bimbo puo avere. –Certo, ma tu devi lasciarti chiamare tesorino mio...-
ho risposto, con amore.
Le sette figlie con i nomi dei fiori sono svanite all’istante, nella mia
mente. Ne e rimasta una sola, ed ha il nome d’un frutto autunnale...
Ora anche io ho un “cucciolo”, un “cucciolo” a cui donare la mia esistenza.
Non mi importa di non poter camminare. Ho Apple. Ho Riccardo. Finalmente
ho una vita vera.
Nota: il diario di Vera si conclude con questa nota felice. Non so come
sia andata a finire la sua storia, forse ha recuperato l’uso delle gambe,
forse no. Ma so per certo che ha vissuto ogni attimo come fosse l’ultimo.
Questa storia vuole fotografare gli attimi d’una vita infelice, mostrando
i bei momenti che anche essa puo avere. Carpe Diem, cogli l’attimo.