SECOLI IN FIAMME (Download)
Le mie dita scorrono lungo il dorso di questo libro, grosso tomo dalle
pagine ingiallite, inebriandosi della morbidezza della pelle sdrucita. Il
pungente odore di carta antica si increspa nell’aria, formando volute di
profumi senza eta che vorrebbero rivelare gli arcani segreti di antichi
scrittori.
Sotto le mie mani pulsa un cuore d’inchiostro, dal battito lento e regolare.
Conscia dell’atto sacrilego che sto per compiere, con calcolata lentezza
sollevo la copertina, resa morbida dal tempo e comincio a scorrere le pagine,
che s’arricciano al mio tocco.
Tra la carta s’annidano mille calligrafie, mille sfumature d’inchiostro.
Ora e giunto il momento d’aggiungervi il mio, dopo una rocambolesca serie
di vite raccontate e distrutte e scoccata l’ora del mio esordio sul palcoscenico
di carta ammuffita.
Intingo il pennino nell’inchiostro scuro, poi lo poggio sulla carta e inizio
ad animare la sua danza arzigogolata.
“Credo che la mia esistenza possa avere come principio la mia trasformazione,
il mio repentino cambiamento, la mia rinascita.
Sono nata in una famiglia di streghe, ed e per questo che ora sto vergando
parole su questo libro, e per questo che sono tenuta a proseguire la tradizione
dei miei avi, trascrivendo la mia esistenza su queste pagine, destinate
a non essere piu scritte da alcuno dopo di me.
Le pagine che precedono questo mio disquisire sono state scritte da mia
madre, e quelle prima ancora da mia nonna. Segue il sangue questo volume,
il sangue di strega e di donna. Il sangue che ora scorre nelle mie vene
misto a fuoco e che non puo piu passare ad un erede.
Le fiamme che lambiscono le mie vene non sono altro che fame di sangue,
fame di vita.
Sono diventata cio che ora posso scrutare nello specchio per mio unico capriccio.
Sono diventata un vampiro.
Tutte le donne che scrissero prima di me in questo tomo ora staranno ridendo
di me, o forse rivoltandosi nel loro loculo per l’orrore. Ho tradito il
mio sangue di guaritrice portando la morte nel mondo, vaneggiando per l’immortalita.
Lo ammetto.
Durante tutta la mia infanzia sono stata istruita ai segreti della mia
gente, cresciuta tra le piante, iniziata ai misteriosi e arcaici culti della
fecondita della terra su cui vivo. Mi e stato mille volte inculcata l’umilta
e l’amore per gli altri come principi di vita. Eppure ho pensato solo a
me stessa.
Non mi sono mai ritenuta adatta a quello che gli altri mi stavano preparando
a divenire. Non avevo mai accettato l’idea di servire gli altri con i miei
poteri, con le mie conoscenze.
Il mio unico scopo era vivere. Sopravvivere. Per sempre.
Da bambina ero tormentata da incubi in cui precipitavo nell’oscurita senza
via di scampo e senza salvezza alcuna. Le lacrime mi riempivano gli occhi
e le viscere mi si contorcevano. Volevo solo vivere per sempre. Chiedevo
troppo? Questa era la domanda che rivolgevo a me stessa continuamente, febbrilmente.
La morte era un isterica ossessione che affollo i miei sogni fino e oltre
la puberta.
Tutto il clan a cui appartenevo era preoccupato dal mio strano approccio
con il potere che scorreva nelle mie vene e presto molti iniziarono a nutrire
grevi timori che presto si rivelarono fondati.
Avevo all’incirca sedici anni quando, sulle ali d’un sogno, giunse a me
un giovane ragazzo dai modi gentili. Era un giovane alto e snello, dai capelli
corvini lievemente arruffati, lo sguardo algido d’un azzurro intenso. Il
suo viso era sfregiato da una sottile cicatrice chiara sulla guancia destra.
Quella fu la prima notte in cui non ebbi alcun incubo. Quella fu la notte
in cui quel ragazzo mi promise l’eternita.
Non ho ricordi, non ho coscienza della mia trasformazione. Accadde mentre
sognavo.
Il giovane ragazzo, quella notte, mi stava raccontando quando fosse bella
e dolce l’immortalita e, ad un tratto, immersa nel torpore del sogno, con
la voce impastata, gli chiesi di donarla anche a me.
Lui accetto e quella fu l’ultima notte della mia vita.
Morii e rinacqui ad una nuova esistenza. Una nuova esistenza che racchiudeva
in se tutti i miei sogni e le mie aspettative, una nuova esistenza che sarebbe
durate nei secoli e nei secoli senza piu paure, senza piu incubi.
Ero divenuta un vampiro. Un vampiro potente e distruttore, carica di passione
e di sregolatezza.
Non ebbi mai l’onore di vedere di persona il mio adorato creatore, che mi
appariva solo in sogno, e passai buona parte dei miei primi anni immortali
a tentare in tutti i modi di accondiscendere ai suoi voleri e ottenere l’onore
di sfiorare le sue carni e vedere i suoi occhi di ghiaccio senza dover prima
scivolare nel sonno. Lentamente, pero, i suoi occhi vigili andarono offuscandosi
nella mia mente e, dopo alcuni anni d’insegnamenti, la sua figura altera
e silenziosa non fece piu ingresso nella mia mente e mi lascio sola a me
stessa senza nemmeno un addio.
Non piansi tentando di dimenticare l’amore platonico per l’uomo che mi aveva
donato l’immortalita che mi squarciava il petto ogni volta che ripensavo
al suo viso.
Le notti si susseguivano tutte uguali, alla ricerca di uno scopo, alla ricerca
di qualcosa che mi chiamava a gran voce ma che non riuscivo ad identificare
nella caligine che avvolgeva la mia mente.
Scivolai lungo numerose notti che avrebbero segnato il mio viso se fossi
stata ancora umana, trascinando la mia immortalita come un vecchio vestito
rattoppato, alla ricerca di quella cosa indefinita che seguitava a chiamarmi
a se.
Fu solo dopo anni di vagabondaggi che finalmente la mia mente inizio a schiarirsi
e il ricordo oramai fuggevole dello sguardo di ghiaccio del mio adorato
sfumo in un crepuscolo e si nascose nei meandri del mio cuore, dando fine
alla mia struggente tristezza.
Quella notte, mi apparve in sogno mia madre. Il suo viso scarno e solcato
da mille rughe era carico di amarezza e delusione. Nei suoi occhi verdi
leggevo un’impronunciabile accusa. I suoi capelli, un tempo lucidi e ramati
come i miei, erano candidi raccolti in ciocche stoppose. Era invecchiata,
erano passati tanti anni e io non avevo mai pensato a lei, nemmeno per un
momento, da quando mi ero levata dal mio letto ed ero fuggita nella notte
con il fuoco nelle vene.
Mia madre mi guardo fissamente per alcuni attimi che mi parvero infiniti,
interminabili.
Lo sguardo carico di accusa mi squadro dal capo ai piedi, per poi diventare
liquido, animato dalle lacrime.
Solo una parola sgorgo dalle sue labbra, il mio nome. – Althea… Althea…-
Poi le palpebre raggrinzite le si chiusero sugli occhi e dalle ciglia candide
scivolarono due ultime lacrime opalescenti.
Il viso di mia madre evaporo dinnanzi a me, lasciando intravedere la sagoma
di un grosso volume rilegato in pelle chiara. In quel momento compresi che
era stato quel libro a chiamarmi per tutti quegli anni e che ora lui aveva
trovato il modo di rendersi palese, utilizzando come mezzo la vita di mia
madre, che ora aveva lasciato il mondo terreno. Lei non era immortale. Io
si. Lei era invecchiata. Io no. Nonostante la tristezza, un senso di vittoria
mi pervase e in quel momento mi resi conto di quanto l’immortalita fosse
importante per me, riportai alla mente i miei incubi infantili che nei lunghi
anni di pellegrinaggio da un paese all’altro alla ricerca di sangue erano
stati sepolti nel mio cuore da strati e strati di altre emozioni.
Ritornare al mio paese d’origine fu difficile, i miei sensi di vampiro,
cosi acuiti in tutti i campi e perfezionati dai lunghi anni di peregrinazioni,
parevano essere inibiti dal ricordo della mia vita passata e trattenevano
con forza il mio corpo dal compiere quel viaggio.
Tornare a casa fu una lotta contro me stessa.
Quando finalmente vi giunsi, prostrata sia nel corpo che nella mente, ritrovai
tutto immutato, i visi che scrutavano dalle tendine socchiuse erano pero
diffidenti, scontrosi, diversi da quelli che conoscevo, ma in qualche modo
sempre uguali, sempre carichi ed intrisi dello stesso potere che tempo prima
scorreva nelle mie vene ma che ora era sedato dal sangue di vampiro.
Camminai fino al cimitero, cercando la tomba di mia madre, e presto la trovai.
Era una tomba piccola ma elegante, spartana, priva di fronzoli inutili.
Una piantina striminzita si inerpicava sulla pietra, nascondendo in parte
la miniatura del viso di mia madre, rappresentata ancora giovane con le
guance rosse e gli occhi vividi e brillanti.
Sulla lapide v’era riportata una frase “Siamo gocce di rugiada su una foglia,
basta un soffio di vento per farci scivolare via”.
Era morta cinque anni prima. Io ero giunta troppo tardi per vedere il suo
ultimo sorriso, troppo tardi per rimirare quella goccia sospesa su un flebile
stelo.
Nessuna lacrima scivolo lungo il mio viso, i miei occhi erano oramai asciutti
da troppo tempo.
Fu solo grazie alla mia nuova tempra che fronteggiai il claustrofobico
senso di depressione che mi arpiono alla vista di quella piccola lapide
grigia.
Ad ampie falcate mi allontanai dal cimitero, cogliendo con la coda degli
occhi numerosi altri nomi conosciuti, accompagnati da fotografie altrettanto
impresse nei miei ricordi.
Erano morti tutti. Tutti quelli che avevo conosciuto, tutti quelli che avevo
schernito quando ero una bimba. Anche coloro con cui avevo giocato tra gli
alberi erano per lo piu divenuti polvere.
Erano passati settanta lunghissimi anni da quando ero stata tramutata in
vampiro, e mia madre era rimasta in mia attesa, resistendo agli assalti
della morte, scavando con le lacrime rughe sul suo viso.
Io, invece, l’avevo dimenticata. Il mio cuore era diventato di pietra.
Ero immortale… Ma a che prezzo?
Tutto cio che avevo conosciuto sfioriva, avvizziva attorno a me. Avevo perso
per sempre il viso di mia madre, i suoi occhi ridenti, le sue mani vellutate.
Avevo gettato quella che sarebbe potuta essere una vita perfetta, ordinata,
dolce, colma d’amore.
Tutto questo per avere la vita eterna. Ma a che serve la vita eterna senza
nessuno con cui condividerla? A cosa serve essere l’unica goccia di rugiada
destinata a non cadere?
Avevo bisogno di qualcuno con cui condividere l’immortalita.
Tutti questi pensieri s’erano sviluppati nella mia mente durante la febbrile
ricerca del tomo che mia madre mi aveva mostrato in sogno. La mia casa sorgeva
ancora accanto al grande salice del paese, immutata. Solo un occhio attento
avrebbe da fuori potuto intuire la desolazione e l’abbandono dell’abitazione.
Un lieve strato di polvere s’era poggiato come un lenzuolo sui sottili davanzali
verdi, le finestre erano opache, il pomello della porta arrugginito.
Ribaltai ogni oggetto presente nella casa, ossessionata dal timore che il
Libro fosse stato portato via da qualcuno. Alla fine, pero, colma di sollievo,
scostando una trave del soffitto stranamente incassata, scorsi il dorso
del volume.
Lo estrassi con grande cura e lo avvolsi in un panno, poi mi allontanai
dal paese senza piu lanciare uno sguardo a cio che mi lasciavo dietro, tentando
di chiudere dietro di me la porta schiusa sul mio passato.
Per molto tempo non ebbi il coraggio di schiudere quel libro arcano di
cui conoscevo l’esistenza fin dalla nascita e di cui mia madre mia aveva
parlato molto spesso.
Sapevo che quel libro era il frutto di secoli di conoscenze e che andava
conservato con grande cura e riempito con la biografia della propria vita
dedita al bene del prossimo.
Come potevo io, vampiro astioso e omicida, dissacrare quel tomo con le mie
mani sporche di sangue? Eppure la carta ammuffita pareva richiamarmi con
il suo regolare battito d’inchiostro.
Il legame di sangue che mi univa a quelle pagine era piu forte della mia
condotta truculenta e il Libro agognava la mia mano su di sé nonostante
i miei delitti.
Mi resi presto conto che non era l’indole buona richiesta da quelle pagine,
ma il semplice contatto con la carne d’un erede del sangue di strega.
Lentamente s’insinuo in me la certezza che il Libro voleva che io gli donassi
la mia storia.
L’occhio vigile del diario in pelle mi scrutava notte e giorno dai reconditi
stessi della mia mente ed io cominciavo ad aver paura. Non volevo profanare
quelle pagine di magia bianca con i miei peccati ma oramai ero certa di
non avere altra scelta.
Tentai di resistere il piu a lungo possibile, invano. Cosi, decisi di vergare
la mia vita su quelle pagine, donando il calore delle mie membra, il poco
calore rimasto nel mio cuore, a quelle pagine. Giurai pero a me stessa che
mai e poi mai avrei ripercorso la vita dei miei avi, che mai avrei osato
contaminare con il mio tocco di sangue quelle pagine colme d’amore e di
chiarezza.
Si conclude cosi questo mio vaneggiare, questo mio astruso intrico di pensieri e ricordi, su questo libro che mai piu verra toccato da anima viva o morta.”
Quando l’ultima goccia d’inchiostro e asciutta chiudo il libro con pesantezza
e una lacrima si posa sulla copertina, che subito la assorbe, senza lasciare
traccia.
Non c’era piu niente da scrivere su quel libro avvelenato dalla mia cupa
bramosia di sangue, quel libro oramai impuro.
Nella mia mente e chiaro come l’alba che il volume deve essere distrutto,
tutto il sapere delle generazioni di streghe che mi avevano preceduto doveva
essere bruciato per rimanere puro. Il libro, ormai, e solo una trappola,
un fastidioso lacciolo per quelle minute calligrafie. Una tomba.
Bastano pochi attimi perché la pelle antica prenda fuoco. Osservo le spirali
di fumo svolgersi nell’aria fredda del mattino, aspirando i secoli di conoscenza
che fluttuano impalpabili attorno a me. Il libro sembra scosso da un grido
muto.
Sta morendo, e con lui tutti i secoli che mi hanno preceduta, il ricordo
di ciascuna strega dal viso buono e dai capelli bianchi si dissolve tra
le nuvole. Sono finalmente libera di vivere la mia immortalita. Ma una domanda
s’insinua nella mia mente, oramai troppo tardi. “Mia madre… Cosa scrisse
su quelle pagine?”
Gli ultimi tizzoni ardenti di pergamena rilucono per poco, prima di spegnersi.