LA SELVA DI CARTA (Download)
Il suo indice magro scorreva lentamente lungo le righe inchiostrate della pagina umida, seguito dai piccoli occhi scuri, simili a luminose capocchie di spillo. Bastava guardare in quelle profonde iridi opache per carpire il mistero dell’amore. Bastava osservare quel viso corrugato, quell’espressione assorta per comprendere appieno quanto si possa amare leggendo.
Era un libro davvero vecchio, consunto e dalle pagine macchiate quello che l’anziano ometto reggeva tra le mani giunte quasi in preghiera su quella copertina diafana eppure, tra le sue dita scheletriche e rugose, rese fragili dallo scroscio degli anni che ne investivano la pelle e le piu minute cellule, si trattava di un immenso tesoro da custodire con estrema cura e affetto.
Nonostante il faticoso incespicare sui caratteri resi quasi illeggibili dalla continua carezza di quel dito amoroso, lo sguardo intriso di profondo amore e sottomissione a quelle parole vergate tanti anni addietro rimaneva saldo, senza offuscarsi. Quegli occhi antichi riversavano tutta la loro attenzione sulle pagine, rinunciando al sonno che intorpidiva le membra del vecchio.
Ed eccolo arrancare tra sconfinate piane deserte, scalare erti burroni, tremante e indebolito, i muscoli diafani sotto la pelle anziana fino ad arrivare agognante presso di Lei.
Lei che ha creato in lui tutto l’amore per la carta scritta, Lei che gli ha regalato attimi di puro terrore e preziosi istanti di ambrosia. Quella foresta che ha dato la luce ai suoi sogni, filandoli attorno ai boccioli gemmati dei fiori che occhieggiano ai piedi delle alte querce ombrose, intessendoli a quelle foglie spesse e scure che stormiscono al minimo soffio del freddo vento che pare gorgheggiare dal cuore della foresta stessa, pare richiamare con il proprio canto l’eremita che si approssima ai confini di quel sacro terreno invitandolo ad unirsi ad essa, diventandone parte con i propri pensieri, con i propri sentimenti, con la propria anima.
E’ cosi che di nuovo, per l’ennesima volta, il suo corpo si staglia tra la boscaglia fitta, e cosi che i suoi passi stanchi si avviano tra le felci, calpestando quella terra sovrana che e di lui madre e figlia, generata dalla sua penna e generatrice della sua passione. Bastano pochi passi per rendersi conto che sta indossando quella sottile veste di lino che aveva tanto amato in gioventu, l’abito che pareva essere stato confezionato a sua foggia, sacra tunica corta ed elegante che rende chi la indossa cosi simile ad un sacerdote dell’antica foresta.
La sfiora con dita trepidanti, sentendone la morbidezza, accarezzandone la trama sottile, e i suoi occhi lacrimosi, memori della lontana freschezza delle carni che erano coperte da quella stoffa verde chiaro ricadono sulle mani che la lambiscono, mani che paiono lisciate dall’aria gelida e salubre che gli invade i polmoni, che si rinvigoriscono dinnanzi alle sue labbra schiuse dalla sorpresa e subito strette nuovamente, in una danza che si ripete ogni volta che quelle pagine incominciano a scorrere e la storia pare avere nuovo inizio.
Le sue forze sono tornate, e con esse l’ardore giovanile, la ricerca dell’avventura, dell’amore, della spensierata certezza d’essere il piu forte in tale landa sperduta, dove tutto accade per volere di quelle fronde tiepide, che si chinano per carezzargli le guance rese rubizze dal vento tagliente.
Anelante, il suo corpo si tende verso l’aria gelida, inspirandone a fondo il fragrante aroma muschiato e colmandosi le orecchie del sibilante richiamo delle grandi imprese che lo attendono a poche spanne di distanza.
Gli basta raccogliere dal suolo un ramo ingemmato da teneri boccioli perché si tramuti in una spada adornata da pietre preziose, poi il suo sguardo si volge ad un enorme ceppo marcito, che lentamente assume la forma d’un cavallo color fango.
Ed e di nuovo il cavaliere della foresta, sprezzante del pericolo, dal corpo flessuoso esposto al nemico sotto la sottile tunichetta, le mani affondate nella muschiosa criniera del suo destriero impavido. Galoppa tra i rami che si sciolgono dai loro abbracci al suo passaggio, carezzandolo con parca dolcezza per poi avvinghiarsi nuovamente nel soffocante intreccio amorevole tra foglie carnose.
Continua ad avanzare senza scopo, mentre linee di inchiostro si avvolgono sinuosamente dietro di lui, imprimendosi nella sottile filigrana della carta macchiata e logora che va sostituendo il paesaggio lasciato indietro dal veloce cavallo.
Sono le urla di una giovane a ridestare la sua attenzione, ormai persa nella contemplazione di quella selva che partorisce sempre nuove piante e fiori colorati dinnanzi ai suoi occhi appannati da tanto splendore. Non si tratta di urla agghiaccianti, di stridule aggressioni ai timpani, ma piuttosto di delicati gemiti, appannati da quelle foglie portatrici di pace, ma impellenti.
Il cavallo, senza necessita di alcun comando, si inerpica con maggior lena lungo la breve scarpata che separa il tratto di foresta dal quale giunge la melodiosa richiesta d’aiuto e con altrettanta facilita la boscaglia si schiude fino a rivelare una radura imporporata dal sole calante, che occhieggia tra le fronde delle querce anziane.
Nello spiazzo si staglia un essere informe, un immenso albero che lentamente assume i tratti spaventosi d’una fiera mitologica, un drago dalle numerose teste fronzute, dal corpo ricoperto da una spessa corteccia luminescente.
Bastano pochi gesti perché l’uomo scenda dal cavallo, altrettanti per giungere ai piedi della bestia che con un rauco bisbiglio schiude le fauci e da esse lascia fuoriuscire un fiotto di lava iridescente, una linfa bollente che cola dalle labbra legnose dell’essere, scivolando inesorabilmente verso il cavaliere e la sua cavalcatura.
Come le parole di tal gesto fossero gia state scritte, l’uomo schiva il liquame che gia lambisce le zampe del suo destriero, trascinandolo al suolo in un nitrito che pare quasi un raccapricciante scricchiolio di legno secco.
Il nobile giovane versa una sola lacrima che pare un prezioso brillante, prima di volgersi al suo avversario e avventarsi con fluidi gesti contro i suoi numerosi colli ruvidi.
Con ampi fendenti, i vari capi ruzzolano al suolo, scivolando sulla pozza livida di magma chiaro e bruciando in esso come legna da ardere. E’ cosi che il colosso lentamente arretra, schiantandosi presto al suolo accompagnato dal frinire delle cicale che scrutano la scena tra i rami.
Atterrato il nemico, l’uomo puo finalmente salvare la giovinetta che giace ai piedi di una quercia dal legno rosato, afflitta dal dolore d’una caviglia malamente slogata.
Il suo viso e pallido quanto la pelle delle mani, tiepide tra quelle bollenti di lui, i suoi occhi sono topazi ardenti, persi tra i capelli ricciuti che incorniciano il volto magro. Le labbra dei due si incontrano in un lungo bacio, mentre i loro corpi si adeguano ai moti della foresta, avvolgendosi e adattandosi l’uno all’altro in un abbraccio quasi vegetale.
Tutto attorno, le carnose foglie, i sottili fili d’erba, i grossi tronchi rugosi si fanno carta e inchiostro, friabili e antichi, avvolgendo lentamente i due esseri in un’ovattata fantasia di pagine scritte.
Quando gli occhi dell’uomo si schiudono per scrutare l’evanescente bellezza della donna che cinge tra le braccia, scopre di aver le labbra avvinte a carta giallastra, imbrattata da veloce grafia.
E’ con orrore che il suo sguardo si abbassa sulla tunica, che rivela sotto di sé il simbolo cadente della vecchiaia, le sottili membra ottuagenarie.
Con un ultimo sorriso stupito, il vecchio ammira il proprio corpo trasformarsi lentamente in carta, secondo l’astruso volere della sua madre e figlia, della sua adorata selva oscura e senza fine, che oramai non ha piu bisogno della sua fantasia stanca, delle sue gesta oramai vuote e ripetitive.
La sua figlia e madre si ribella dolcemente, rinchiudendolo con un dolce abbraccio tra le proprie pagine, mentre il suo capo calvo si posava stanco tra di esse, gli occhi finalmente chiusi, le labbra distese nel sonno della morte.